Carissimi lettori, oggi voglio fare con voi un viaggio nel tempo per riscoprire la fantasia di tanti bambini ormai diventati grandi.
Vi ricordate quanto erano belli i giochi che facevate con i vostri amichetti? Non vi annoiavate vero?
Oggi i bambini hanno dispositivi multimediali all’età di 6/8 anni.
Tutto questo è molto triste.
Se ci pensi, quanto era bello socializzare per strada, oppure usare la creatività’ di inventarsi ogni giorno un gioco nuovo.
Il “parco giochi” dei bambini di tanti anni fa era la strada, cortili, che costituiva l’ambiente in cui essi trascorrevano la quasi totalità del loro tempo.
Oggi voglio ricordare assieme a voi alcuni di questi giochi tradizionali, inventati da voi per far passare il tempo e giocare tutti assieme.
Riscopriamo assieme alcuni di questi giochi!
‘A Strummula”
Strummula è facile a dirsi, ma lo sapevate che questo antico gioco siciliano ha una storia antichissima? Non è più utilizzato, ma fino a circa 40 anni fa era uno dei giochi più popolari: è uno di quei giochi in cui puoi passare ore e ore senza preoccupazioni.
Nella parte superiore, realizzata in legno, è inserito un pezzo di ferro appuntito e attorno ad esso è avvolta una corda. Il gioco consiste nel tirare con forza la “sfera” di legno per darle un movimento rotatorio per mezzo di una corda. L’obiettivo è mantenerlo in equilibrio sulla punta di metallo il più a lungo possibile. Chi riusciva a farla stare in equilibrio più a lungo, vinceva la gara. Di solito, chi sbagliava il tiro o faceva ruotare per un tempo minore, doveva fare una penitenza decisa dagli altri.
Questo gioco così semplice ha una grandissima tradizione.
Acchiana ‘u patri cu tutti ì so’ figghi
“Acchiana u patri cu tutti i so figghi”, tradotto per i non Siciliani “sale il padre con tutti i suoi figli”
L’antenato della cavallina.
Divisi in due squadre, un bambino si poggiava al muro ed un altro doveva saltargli sulle spalle.
Così fino a quando il primo non riusciva più a sorreggere il peso degli altri compagni e cadeva per terra.
Ma non e’ finita, durante il gioco si doveva recitare una filastrocca.
Il primo capitano appoggiava le braccia al muro, e dietro di lui, uno dopo l’altro, gli altri compagni, formarono la “schiena” detta groppa di un cavallo o di un ponte; i metaforici “fantini” prendendo la rincorsa, da circa una ventina di metri, in fila per uno, dovevano saltare a “cavallo” sopra il giocatore che sta sotto, senza cadere e aspettando che gli altri compagni facciano lo stesso. Il primo a saltare, durante la rincorsa, doveva urlare: “acchiana ‘u patri cu tutti ì so’ figghi.”
Gli altri bambini dovevano rispondere con: “lu figghiu.”
L’ultimo componente della squadra, al momento del salto, doveva recitare questa filastrocca pregustando la possibilità della vittoria.
“Quattru e quattru ottu, scarrica lu bottu; l’aceddu cu li pinni scarrica e vattinni: unu, dui e tri fannu vintitrì, unu dui e tri fannu vintitrì, ti dugnu un pizzicuni e mi nni vaju.”
La squadra avversaria, a sua volta, doveva rispondere: “abbìriri-chi-mi-ni- vegnu-e-ricu-àschi“.
Era un gioco all’aria aperta che univa oltre al sano movimento la bellezza della lingua siciliana, un bene da custodire, di cui essere fieri e da insegnare ai nostri figli.
E’ stato bello far emergere dal passato questo passatempo infantile e chissà che a qualche bambino di oggi non venga la voglia di giocarci.
Il Gioco Dei Tappi
I bambini del passato facevano collezione di tappi.
Spesso si mettevano in palio in vere e proprie gare di abilità.
Il gioco consisteva nel tracciare dei percorsi a terra, uno per ogni partecipante, con tante curve e rettilinei, e poi uno alla volta, si picchiava con l’indice sul tappo per farlo correre ed arrivare primo.
Qualora il tappo fosse andato fuori dal percorso, si sarebbe dovuto posizionare lì dove era prima del tiro.
Una variante di questo gioco consisteva nel lanciare un tappo da una determinata posizione e avvicinarlo il più possibile al muro senza che si capovolgesse.
“Lo sciancateddu” oppure detto Il Gioco Della Campana
Si disegnava a terra un grande rettangolo diviso in otto o dieci quadrati ai quali si dava un numero.
I numeri venivano stabiliti secondo un ordine crescente.
Ci si doveva anche munire di un sasso. Questo sasso doveva essere lanciato su ogni casella, ad iniziare dalla più vicina e poi doveva essere recuperato, le caselle potevano essere toccate solo con un piede, ma i blocchi di due caselle affiancate consentivano di appoggiare contemporaneamente entrambi i piedi.
Regola fondamentale del gioco era quella di non sconfinare di settore né col sasso né con i piedi. Se no la pena era ricominciare da capo.
Vinceva chi arrivava prima a chiudere la campana lanciando il sasso nel riquadro più lontano e riuscendo a recuperarlo senza perdere l’equilibrio.
I quattru cantuneri detto 4 cantoni
Il gioco dei quattro cantoni era un gioco che piaceva molto ai più piccoli. Dopo aver stabilito tramite conta chi avrebbe iniziato, i quattro bambini rimasti si disponevano agli angoli di un quadrato immaginario mentre il quinto si posizionava al centro.
Si cantava una filastrocca e, al momento giusto, i quattro bambini si scambiavano di posizione; il giocatore al centro doveva cercare di occupare una delle posizioni prima che il giocatore designato riuscisse a raggiungerla.
Il giocatore che fosse rimasto fuori avrebbe dovuto posizionarsi al centro.
Vi ho voluto riportare indietro nel passato, per farvi ricordare i bei momenti, nel quale intere generazioni sono cresciute giocando in mezzo alla strada, a sbucciarvi le ginocchia divertendovi.
I cortili, le stradine, sono stati per anni i vostri luoghi di incontro e di giochi. Non ci si stancava mai, non si voleva mai salire a casa, si giocava con quello che si trovava.
Era sufficiente che ci fossero degli amici, anche dei bambini che si conoscevano poco e si giocava, anche se i litigi erano molto frequenti, una “pacca sulla spalla” e un sorriso risolvevano tutto. C’era il piacere di fare parte del gruppo, di mettersi alla prova riuscendo a superare le difficoltà. La strada livellava le diversità e stabiliva un contatto con la realtà, la vita diventava un gioco e il gioco era la vita.
Nel gioco era inevitabile che la classica vecchietta rovinasse la nostra festa, urlandoci di stare zitti, di non ridere, di non rompere le piante o le finestre della loro porta di casa. In risposta alla signora o l’anziano chiamavano i genitori per farli rimproverare e di smettere.
Le nostre mamme o nonne ci seguivano mettendosi a parlare tutti insieme, dando vita ai “Crocchi”, formando quei tipici gruppetti dove si “cuttigghiava”, spettegolando, e mettendo sedie in giro. Nei cuttigghi capitava che le madri difendano i propri figli.
La Sicilia è tutta bella, ma leggere uno di questi blog dove ti riporta indietro con il tempo, lo considero uno dei migliori
Questo e’ un altro, dove solo leggerlo le mie lacrime non smettono di scendere, che bello vedere tutti quei bimbi correre per le strade o per i cortili…
Questo ricordo mi fa venire in mente un giovane picciotto del nord, tanto beddu e sapuritu.