Oggi vi voglio parlare di un dolce tradizionale che viene consumato nel periodo Natalizio.
I Buccellati Siciliani, o Cucciddati in dialetto, sono biscotti di pasta frolla tipici del periodo natalizio, ripieni di fichi secchi. Il ripieno è a base di fichi, frutta secca e marmellata, ed è profumato con spezie: cannella, chiodi di garofano, cardamomo e noce moscata.
La Ricetta dei Buccellati è diffusa in tutta la Sicilia e quindi ne esistono tante Varianti, forma e ripieno, anche il nome cambia leggermente da provincia a provincia, nel trapanese hanno una forma allungata e sono decorati con zucchero colorato.
Questa è un’antichissima ricetta siciliana.
La storia
Buccellato viene da tanti anni di storia e culture diverse.
Il nome deriva dal latino “buccellatum”, il pane a forma di ciambella preparato dagli antichi romani durante la festa.
Chiaramente però i dolci siciliani hanno molto in comune con i dolci tradizionali toscani. Lucca prepara infatti fin dal Medioevo una torta a forma di ciambella ripiena di uvetta. L’incontro delle due culture avvenne proprio nel Medioevo, quando una comunità lucchese giunse a Palermo e ne diffuse le ricette. In Sicilia, naturalmente, i dolci subirono l’influenza degli arabi e vi aggiunsero nuovi ingredienti come il cedro, l’arancia, le mandorle, i fichi secchi e la cannella.
Il risultato è quello che mangiamo oggi: una vera delizia.
L’origine dei cassateddri di ficu, legata alla produzione familiare di fichi, essiccati al sole.
Il ripieno più povero e frugale di quello dei buccellati (almeno all’origine), comprendeva scorze di agrumi e poco altro.
Anche la frolla era assai semplice, niente uova e latte ma sola farina di grano tenero, strutto e zucchero.
Una pasta semplice adatta ad essere manipolata e intagliata senza grosse difficoltà.
Tanti nomi in una sola bontà
Realizzate in varie forme in tutta l’isola, questi dolcetti ai fichi sono considerate tipiche dei comuni della provincia di Trapani.
A Castellammare del Golfo si chiamano “cosi duci, cosi di ficu” (cose dolci, cose di fico).
Con questo nome sono stati inseriti dal ministero delle Politiche agricole nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali.
Il nome “cosi di ficu” è però più tipico dei paesi dell’agro Ericino, come Buseto Palizzolo, Erice, Valderice, San Vito lo Capo e Custonaci.
Nei comuni di Marsala, Campobello di Mazara, Mazara del Vallo e Castelvetrano la denominazione preferita è “cassateddri ri ficu” (cassatelle di fichi).
Questa denominazione di questa regione della provincia di Trapani serve in particolare per distinguere questi dolci dalle “cassatelle”.
Sapori dei tempi andati.
Ci fu un tempo quando nella settimana della Festa dell’Immacolata Concezione, tutti i componenti della famiglia partecipavano alla preparazione dei dolcetti di fichi. La maestria era non solo prepararli, ma anche intagliarli per dargli la forma più bella che si poteva.
Ecco come Giovanna Bascio ci racconta della sua esperienza di bambina con questo mondo antico.
“Avevo circa 8-9 anni quando partecipavo all’appuntamento annuale della preparazione dei dolci tipici natalizi. Un rito che durava anche due settimane o più. Tutte le vicine di casa, giovani e anziane, si prestavano ad aiutare a turno le altre vicine e si recavano a casa di una, nelle grandi cucine rustiche, dove si dividevano i compiti. Alcune impastavano, altre preparavano il ripieno e già lì si espandeva per la casa un profumo di bucce di arance tostate, cannella, zuccata fatta in casa, marmellate, mandorle tostate e vaniglia. La farina veniva setacciata e “strofinata” con strutto, zucchero, vanillina, buccia di limone e acqua, solo alla fine veniva aggiunto un pizzico di ammoniaca per dolci.
Il compito di noi “piccole donne” era quello di macerare l’impasto a piccoli pezzi. Io non aspettavo altro: ogni tanto, pensando di non essere vista, ne rubavo un pezzettino, era buonissimo!
Poi si passava l’impasto alle donne del tavolo vicino che pronte e armate di lamette o coltellini affilatissimi intagliavano i biscotti dopo averli farciti col ripieno, sembravano merletti!
Io cercavo di imparare da loro e non vedevo l’ora di intagliare pure io, c’era sempre qualche signora anziana che mi faceva provare con la sua mano sulla mia e mi incoraggiava “ecco così si intaglia, sempre di traverso, mi raccomando” Ero felicissima e in quel momento mi resi conto che ero portata per intagliare i dolci, in seguito anche i pani. Riccioli e foglioline, che bellezza!!! Infine li cospargevano con confettini colorati.
Ora toccava alle altre donne cuocerli nel forno a legna scaldato con rami di ulivo ma per capire quando fosse alla giusta temperatura buttavano dentro due o tre pugni di crusca, se bruciava subito voleva dire che la temperatura era ancora alta, quindi immergevano una scopa di saggina in un secchio di zinco con acqua fredda e spazzano varie volte il fondo del forno affinché la temperatura si abbassasse: “putemu nfurnari” dicevano e con delicatezza appoggiavano le teglie su una grande pala di legno e via in forno.
Dopo qualche minuto si diffondeva in casa un profumo straordinario, il forno si controllava spesso e non appena i dolci assumevano un colore dorato chiaro li sfornavano.
Era il momento più gradito da tutte, finalmente si poteva gustare la prima cassatedda, la prima di una lunga serie, perché poi si continuava con altri biscotti non intagliati, quindi meno impegnativi, i pasticciotti con zuccata, mandorle e marmellata di arance, i biscotti con le mandorle, (cantucci) quelli da inzuppo e per finire anche quelli piccanti, tipici con semi di finocchietto e pepe.
Arrivava la sera e le signore si mettevano d’accordo per il giorno dopo, per spostarsi a casa dell’altra vicina. Io stanca andavo a letto che profumavo di vaniglia e bucce di arance.”